Il calcio boliviano si ferma. Ad una settimana dalle
elezioni presidenziali i disordini in atto in molte città dello stato
sudamericano la federazione ha deciso di annullare la giornata di campionato
prevista per questo fine settimana.
EVO MORALES VS MESA
Partiamo da spiegare chi è Evo Morales; leader del
Movimento per il Socialismo, è un ex raccoglitore di coca ed è stato il primo
boliviano di origine indio a essere eletto presidente del paese. È al potere da
quattordici anni: vinse le elezioni per la prima volta nel 2005, e godette a
lungo di consensi altissimi.
Sotto la sua guida, la Bolivia ha attraversato un periodo
di grande sviluppo in cui aumentò il PIL, ridusse la povertà, con grandi
benefici soprattutto per le famiglie più povere che videro diminuire nettamente
le diseguaglianze. Ancora oggi è un leader molto popolare, ma la sua lunga
permanenza al potere ha iniziato a procurargli critiche e accuse di autoritarismo
da parte delle opposizioni. Nel febbraio del 2016, Morales perse di poco un
referendum per confermare un’ulteriore modifica alla Costituzione che gli
avrebbe permesso di candidarsi anche nel 2019. L’anno successivo, però, la
Corte suprema del paese annullò il risultato del referendum, sostenendo che il
limite al numero di mandati era una violazione dei diritti politici, in una
sentenza molto contestata.
Il rivale di questa elezione era Mesa, ex
giornalista televisivo, è stato presidente della Bolivia dal 2003 al 2005, ed
era tornato popolare negli ultimi anni perché il governo di Morales lo aveva
nominato, nonostante la grande rivalità tra i due, come rappresentante del
paese nella disputa legale con il Cile per la questione dello sbocco
sul mare. Il suo attuale partito, Comunidad Ciudadana, è un partito di centro
liberale e molto critico del socialismo di Morales.
COSA STA SUCCEDENDO ORA?
Nella notte di lunedì, 20 ore dopo il primo bollettino
ufficiale che dava come praticamente certa la necessità di un secondo turno di
ballottaggio con lo sfidante Carlos Mesa, il tribunale elettorale ha spiazzato
tutti pubblicando un nuovo computo che regalava per poche migliaia di voti il
trionfo al presidente in carica.
La legge elettorale in Bolivia stabilisce che se nessuno
arriva al 50% dei suffragi un candidato può vincere superando il 45% dei voti
con dieci punti di distacco dal suo avversario. Domenica sera, con il 83% dei
seggi scrutinati, il parziale era di 45% a 38% per Morales; il giorno dopo
quest’ultimo è apparso con il 46.85% contro il 36.74% di Mesa. Per appena 5
mila voti su un totale di poco più di 6 milioni è scattata la fatidica soglia
dei dieci punti e Morales si è proclamato vincitore davanti alla
folla dei suoi sostenitori nel Palacio Quemado di La Paz.
Ma nessuna matematica può spiegare il mistero di uno
spoglio che si è arenato per così tanto tempo: la corte ha impiegato una
giornata per processare mezzo milione di voti, quando a seggi chiusi ne erano
stati conteggiati dieci volte tanti in meno di tre ore. Carlos Mesa, che aveva
avvisato alla vigilia sulla possibilità di brogli, ha chiamato i suoi alla
disobbedienza civica e in diverse parti del Paese la gente è scesa in piazza a
protestare. A Sucre e Potosì la folla ha preso di mira le sedi della giustizia
elettorale, che sono state incendiate. A La Paz, Cochabamba e altre città ci
sono stati scontri tra opposti schieramenti. Gli osservatori della Oea
(Organizzazione degli stati americani), invitati dallo stesso Morales per
controllare il voto, hanno espresso seri dubbi su tutto il processo; sulla
stessa linea anche Ue, Stati Uniti, Brasile ed Argentina.
Che il tribunale elettorale sia allineato al governo lo
si era capito, del resto, quando ha autorizzato la stessa candidatura di
Morales. Il presidente, in carica dal 2006, non avrebbe neanche potuto
partecipare, visto che la Costituzione vieta un terzo mandato. Nel 2016 i
boliviani bocciarono in un referendum una modifica alla Carta Magna per
togliere questa clausola, ma la Corte Costituzionale stravolse tutto
dichiarando che non si poteva negare a un cittadino il «diritto umano» di
candidarsi tutte le volte che vuole. Con tutte le regole saltate e forte
di un apparato politico consolidato da 13 anni di potere Morales ha costruito
questa vittoria, ma ora si trova con un Paese spaccato in due. Sebbene
l’economia boliviana cresca da un decennio, nei ceti medi e in parte del
sindacalismo indigeno la sua figura comincia a essere indigesta. Tra
quest’ultimi c’è chi non mette in discussione il modello di Stato socialista
ibrido, assistenzialista ma aperto al mercato e agli investimenti stranieri, ma
che a comandarlo sia sempre la stessa persona.
Nella provincia di Santa Cruz, bastione dell’opposizione,
è stato lanciato uno sciopero civico a oltranza e già ieri si iniziavano a
vedere posti di blocco sulle principali autostrade. Dopo il Perù, l’Ecuador e
il Cile, la Bolivia si aggiunge alla lista dei Paesi sudamericani in subbuglio,
con parte della popolazione infuriata contro il governo. Evo ha vinto a suo
modo la battaglia, ma non sarà facile per lui governare.
Da qui la decisione di fermare la giornata di campionato
che prevedeva il Clasico Cruceño Tra Blooming e Oriente Petrolero.
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